l’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Ci sono silenzi che non appartengono al tempo. Ci sono addii che non si possono scrivere senza che la mano tremi, senza che il cuore si spezzi un poco. Nell’alba silenziosa che ha sfiorato le cupole di Roma, il respiro del mondo si è fermato. Le campane di San Pietro, come lacrime di bronzo, hanno rotto l’aria con rintocchi lenti, annunciando ciò che il cuore non voleva accettare: Francesco, il pastore venuto “quasi dalla fine del mondo”, ha lasciato la sua terra per tornare alla casa del Padre.

“Fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte del nostro Santo Padre Francesco…” Così il Cardinale Farrell ha rotto il silenzio, e da quel momento il cielo di Roma è sembrato più basso, più grigio, più vicino alle lacrime di milioni di fedeli che, da ogni angolo del mondo, oggi piangono il loro pastore.

Francesco non è stato un papa come gli altri. È stato il povero tra i potenti, il semplice tra le porpore, l’uomo che parlava alla terra con le mani sporche di umanità. Il suo pontificato non fu un regno, ma un pellegrinaggio: una strada polverosa tra le periferie dell’anima, dove ogni giorno ripeteva che Dio abita lì, tra le crepe dell’indifferenza, nei volti dimenticati.

Con lui, il pontificato ha riacquistato carne e respiro. Ha chinato il capo dinanzi ai migranti annegati nel Mediterraneo, ha lavato i piedi dei carcerati, ha abbracciato i bambini, i malati, gli scartati. Ha voluto una Chiesa “in uscita”, che “non chiuda le porte, ma le spalanchi”. E ha avuto il coraggio — raro e luminoso — di denunciare l’indifferenza come il vero peccato del nostro tempo.

Ricorderemo le sue dita nodose che accarezzavano i bambini nelle favelas, il passo incerto tra le macerie di Lampedusa, il silenzio commosso davanti ai sopravvissuti di Mosul. Ogni gesto, un seme gettato nel solco arido del nostro tempo. Ha trasformato ogni omelia in una carezza: “Costruite ponti, non muri. Siate artigiani di pace”. Parole semplici, come il Vangelo che amava, martellate come chiodi contro l’ottusità della guerra.

Francesco ha scritto encicliche come Evangelii Gaudium, Laudato Si’ e Fratelli Tutti, che resteranno pietre miliari non solo per la fede, ma per l’intera umanità. In esse non c’è solo teologia: c’è vita, c’è pianto, c’è fame di giustizia. C’è la speranza che il mondo possa davvero cambiare se mettiamo al centro l’altro, non l’io.

Francesco non indossava croci d’oro, ma portava sulle spalle il peso della Croce del mondo. Insegnava che la fede non è un museo di dogmi, ma un ospedale da campo, pronto a bendare le ferite della storia. Ha parlato al mondo con il linguaggio della tenerezza e della verità, ha scosso le coscienze, ha domandato giustizia dove c’era solo profitto, ha predicato la pace dove regnava la guerra.

E ora, che ne sarà di quel sorriso mite? Di quella voce un po’ roca che pregava per la pace in Ucraina, in Siria, in Terra Santa, ovunque il sangue degli innocenti continuasse a gridare vendetta al cielo? Che ne sarà della sua supplica accorata: “Mai più la guerra”?

Nel tramonto di questo addio, prendiamo il suo messaggio come un’eredità scomoda e luminosa: che ogni nostro gesto sia un passo verso la pace, ogni parola un inno alla fratellanza. Francesco non ci chiederebbe preghiere in latino, ma pane condiviso, porte aperte, guerre convertite in dialogo.

Non possiamo rispondere a tutte le domande, non ancora. Ma possiamo promettergli qualcosa: continueremo il suo sogno. Continueremo a credere che un altro mondo è possibile, che la fraternità non è utopia, che la Chiesa può essere un ospedale da campo, e non una fortezza. Le sue ultime parole risuonano come un testamento senza inchiostro: “Non abbiate paura di sporcarvi le mani”.

Addio, Francesco. O forse no. Perché gli uomini come te non muoiono mai davvero. Restano nei gesti, nei pensieri, nei cuori che hanno imparato ad amare un po’ di più grazie a te. E mentre le nazioni continuano a brandire odio, ti immaginiamo lassù, a sussurrare a Dio: “Non sono stato all’altezza, ma ho provato”. E il Creatore, con un sorriso, ti risponde che hai fatto abbastanza.

Riposa in pace, Papa Francesco. La pace che hai seminato ora ti appartiene per sempre. La tua ultima enciclica è scritta nei passi che oseremo fare. E se domani qualcuno ti cercasse tra le tombe, noi sapremo dove trovarti: tra le mani di chi accoglie, nei piedi di chi parte per aiutare, negli occhi di chi perdona.

 

pH Pixabay senza royalty

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