Oplus_16908288

di Daniela Piesco 

La scomparsa del Pontefice ha scatenato un’ondata di commozione collettiva: scuole chiuse, eventi sospesi, un silenzio riverenziale che ha attraversato le piazze d’Italia. Un omaggio sentito a un “uomo di pace”, come è stato ripetuto da più voci. Ma tra le pieghe di questo lutto nazionale, si insinua una domanda scomoda: perché alcune morti diventano simboli universali, mentre altre restano invisibili?

Siamo pronti a commuoverci per chiunque abbia un trono sotto al sedere, se contrapponiamo l’apoteosi mediatica per il Papa al silenzio sui 20.000 bambini massacrati in Palestina. L’accusa è netta: la religione, ridotta a ufficio stampa col crocifisso e una società che si scioglie in lacrime solo quando il dolore è ritualizzato, trasmesso in HD, avvolto nel bianco di uno zucchetto.

Non è una critica al Pontefice in sé ,definito esplicitamente ,un Papa di pace ma alla meccanica del cordoglio pubblico. Quanto conta la cornice simbolica nel determinare il valore di una vita? Perché un singolo evento, per quanto tragico, catalizza l’attenzione globale, mentre stragi sistematiche diventano rumore di fondo?

Cantiamo pace in terra mentre la terra si riempie di tombe. L’Italia, come gran parte dell’Occidente, sembra oscillare tra la retorica della solidarietà e l’incapacità di tradurla in azione coerente. Le scuole chiuse per un giorno diventano metafora di un lutto a orario, mentre guerre lontane , quelle che non interrompono i campionati di Serie A , scivolano via dai titoli dei giornali.

C’è un cinismo in questa dinamica, ma anche un’ingenuità: il bisogno di semplificare il male, di incasellarlo in figure rassicuranti (il buono, il cattivo, il martire). Il Pontefice, per il suo ruolo, diventa inevitabilmente icona. I bambini di Gaza, no: sono numeri in una guerra senza eroi televisivi, senza bandiere da twittare.

Una domanda finale etica, non ideologica: possiamo permetterci un’empatia a geometria variabile? Dietro il dolore collettivo si nasconde una comodità: piangere chi non ci costringe a prendere posizione, a mettere in discussione il nostro silenzio su altri massacri.

La risposta non sta nel disprezzare il lutto per il Papa, ma nell’onestà di ammettere che ogni commemorazione , se vuole essere autentica , dovrebbe costringerci a guardare oltre il rituale. Il punto non è lui, siamo noi .

Forse, la vera sfida non è cancellare le bandiere a mezz’asta, ma alzarle anche per chi muore lontano dai riflettori. Perché la pace, se è solo un hashtag, è davvero una barzelletta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.