L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
Ottant’anni. Un’eternità e un battito di ciglia. Ottant’anni ci separano da quel giorno in cui l’Italia, stretta nella morsa di un incubo, si scrollò di dosso il peso opprimente del nazifascismo. Non fu una semplice capitolazione militare, ma un sussulto di dignità, la faticosa e gloriosa nascita di una coscienza repubblicana. Il 25 Aprile non è una data scolpita nella pietra, inerte. È una cicatrice viva, una linea di demarcazione morale che continua a solcare il nostro presente, interpellandoci con la forza di un monito.
Eppure, oggi, quella linea sembra sfumare, dissolversi in una bruma di silenzi compiacenti, quasi imbarazzati. Le celebrazioni, ci dicono, devono essere “sobrie”, come se la gioia della libertà fosse un’eccedenza, un rumore inopportuno. E il dubbio serpeggia, corrosivo: perché si teme ancora, così visceralmente, l’eco della Resistenza? Forse perché essa non è un reperto da museo, ma un’esigenza impellente, una chiamata alle armi della coscienza.
In questi giorni di lutto nazionale, segnati dalla scomparsa di Papa Francesco, un’anima che ha saputo illuminare il cammino di molti al di là dei confini religiosi, accostare il suo commiato al tentativo di silenziamento del 25 Aprile produce una dissonanza stridente.
Francesco ha incarnato, con la sua vita e le sue parole, i valori più profondi della Resistenza: la cura per gli emarginati, la denuncia vibrante dell’ingiustizia, il rifiuto categorico della guerra come strumento di dominio. Onorarlo veramente significa non tradire l’eredità di coloro che si batterono per la libertà.
C’è chi, con fare subdolo, tenta di purificare la storia, di renderla asettica, neutrale, come se potessimo permetterci l’amnesia delle nostre radici. Ma la verità, come ammoniva Don Milani, è tenace, viscerale. E la verità è che senza la Resistenza non esisterebbe la libertà che respiriamo, la Costituzione che ci definisce, la dignità che rivendichiamo.
Non c’è spazio per un’impossibile equidistanza, perché allora non ci furono zone grigie, ma oppressi e oppressori.
Pier Paolo Pasolini, con la sua lucidità profetica, aveva intravisto il mutare delle forme del potere, avvertendoci che il fascismo non sarebbe tornato con gli stivali e la camicia nera, ma con le parole insidiose del conformismo. Aveva ragione. Il linguaggio si ammorbidisce, i simboli si travestono, ma l’ideologia strisciante permane. La ritroviamo nelle pieghe di decreti che colpiscono i più fragili, nelle risate sguaiate che deridono la solidarietà, nei tagli silenziosi che amputano cultura e memoria.
E allora, osserviamo con attenzione chi scende in piazza oggi. I lavoratori che non si rassegnano, i giovani che lottano per un futuro degno, chi non si arrende alla precarietà esistenziale. La CGIL, con le sue mobilitazioni, con la pubblicazione coraggiosa di “Antifascisti da sempre”, ci ricorda che la Resistenza fu anche fatica operaia, rivendicazione di diritti, anelito al riscatto sociale. Non una pagina ingiallita dei libri di scuola, ma carne viva, esistenza pulsante.
In un Paese che rischia di anestetizzarsi nella melassa del presente, il 25 Aprile deve tornare ad essere ciò che intrinsecamente è: un atto politico, una scelta di campo inequivocabile. La libertà non è un lascito ereditario; si conquista, giorno dopo giorno. Anche oggi. Soprattutto oggi.
Mentre qualcuno auspicherebbe un’Italia silente, composta, con le bandiere a mezz’asta e i cuori in sordina, noi dobbiamo rispondere con un’onda sonora irrefrenabile. Un grido che squarci il velo del tempo e affermi con forza inaudita: noi ricordiamo.
Ricordiamo che la nostra Costituzione è figlia legittima della Resistenza, che ogni diritto sancito ha pagato un prezzo di sangue e sacrificio. Ricordiamo che la democrazia non è un bene acquisito per sempre, ma un fragile equilibrio che necessita di costante difesa. Ricordiamo, con Pasolini, che essere antifascisti non è un’opzione ideologica tra le altre, ma un imperativo morale, un baluardo contro l’oblio e la barbarie.
Questo 25 Aprile 2025 non sia una sterile commemorazione, un rito stanco. Sia, invece, una scintilla vibrante. Un fuoco che divampa nei gesti concreti di chi si batte per la giustizia, nell’impegno tenace di chi non si volta di fronte alle ingiustizie, nel coraggio indomito di chi respinge la menzogna e l’indifferenza.
«Resistere significa essere sempre in rivolta», scriveva Pasolini.
Oggi, resistere significa anche non cedere alla tentazione di un lutto che offusca la memoria, ma trasformare il dolore in energia vitale per difendere i valori per cui tanti hanno lottato. Resistere è ricordare che la libertà ha un nemico insidioso: l’indifferenza. E che la memoria non è un tributo al passato, ma un debito ineludibile verso il futuro.
Che questo 25 Aprile sia, allora, un’esplosione di luce. Perché laddove la memoria arde vivida, le tenebre non potranno mai prevalere. Il fascismo non è un fantasma del passato, ma un pericolo latente che si nutre di oblio e di silenzi. Il nostro compito è tener viva la fiamma, perché la Resistenza non è finita. Essa pulsa ancora, nelle nostre mani, nelle nostre coscienze, nel nostro irrefrenabile desiderio di un’Italia libera e giusta.
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