Ventitré anni di attesa. Ventitré anni di erbacce, silenzio e promesse. Poi, finalmente, la resurrezione: il Parco De Mita rinasce. O, almeno, così ci è stato detto. A riportarlo in vita è stata una “Pasquetta evento”, con tanto di ingresso a pagamento e tappeto di plastica finale. Una festa che doveva essere simbolo di rinascita si è trasformata, nei fatti, in una dimostrazione plastica (in ogni senso) di come la città riesca a inciampare anche quando ha un’occasione d’oro tra le mani.
Partiamo dal principio. Il sindaco Mastella, raggiante come in campagna elettorale, ha salutato l’iniziativa con entusiasmo: “un bell’evento in uno splendido spazio verde”. Peccato che l’evento in questione prevedesse un biglietto d’ingresso tra i 10 e i 15 euro a persona. Una Pasquetta popolare… ma non troppo. Per accedere a un parco pubblico, riaperto dopo decenni di abbandono, i cittadini hanno dovuto mettere mano al portafogli. Per fare cosa? Stendere una coperta tra gli alberi, mangiare un panino portato da casa e ascoltare un po’ di musica.
Ora, ci sarebbe da capire con quale regolamento si sia stabilito che un bene pubblico – per definizione gratuito – possa essere transennato e “venduto” a chi ha il denaro per entrarvi. Il disciplinare di concessione parla chiaro: l’accesso deve essere garantito tutto l’anno “secondo modalità da concordare con l’Amministrazione”. Perfetto. E queste modalità sono state concordate? Oppure ognuno fa un po’ come gli pare, magari nel nome della valorizzazione?
Va chiarito, però, che il Parco De Mita non è stato inaugurato – come qualche presenza istituzionale ha maliziosamente lasciato intendere tra un selfie e un brindisi – e l’evento è stato organizzato da soggetti privati, nel pieno rispetto delle norme e delle procedure. Un’iniziativa autonoma, dunque, che ha dimostrato come anche il privato, quando vuole, possa offrire qualcosa di buono alla comunità. Anche se, curiosamente, a godersi i riflettori sono stati alcuni rappresentanti pubblici, pronti a salire sul palco con l’aria di chi ha appena completato una grande opera pubblica. Ma si sa: se c’è una telecamera, c’è sempre un politico pronto a far finta che sia merito suo.
Ma il meglio arriva dopo. Al termine della giornata, la natura si è presa la sua rivincita. Non con fiori o cinguettii, ma con una distesa di spazzatura degna del dopo-concerto di Woodstock. Bicchieri, bottiglie, sacchetti, resti di cibo ovunque. Tra gli alberi, sulle panchine, sotto i gazebo. Nessuno si è preso la briga di distribuire buste per i rifiuti o di predisporre un minimo di servizio di pulizia. Forse si sperava che la pioggia (eventuale) o il vento (quasi certo) facessero il lavoro al posto loro.
Il messaggio è chiaro: puoi far rivivere un parco dopo 23 anni, ma se lo abbandoni alla plastica dopo una giornata di festa, non lo hai riportato in vita. Lo hai solo usato. Un po’ come si fa con certi slogan elettorali.
Certo, qualcuno dirà che “è stato un successo di pubblico”. Vero. Ma è stato anche un successo di disorganizzazione, di improvvisazione, e di ipocrisia. Perché non si può parlare di rilancio se il primo segnale è quello di escludere economicamente una fetta di popolazione. E non si può parlare di cura se il risultato finale è un campo minato di immondizia.
Perché far rivivere un luogo non vuol dire solo riempirlo di persone, ma anche rispettarlo, custodirlo, renderlo davvero di tutti. E da questo punto di vista, la Pasquetta al Parco De Mita ha ancora molto da insegnare.
E qui, sia chiaro, le responsabilità non sono solo di chi ha organizzato. Perché va bene lamentarsi dell’assenza di cestini, ma nessuno – davvero nessuno – ti obbliga a lasciare il pranzo di Pasquetta sparso come coriandoli di plastica in un carnevale fuori stagione. Il degrado non nasce dal nulla: ha mani, gambe e spesso anche un bel sorriso da selfie. L’inciviltà di chi ha pensato bene di trattare il parco come una discarica temporanea è il vero specchio di una mentalità che pretende tutto, ma restituisce niente. E se un luogo pubblico diventa pattumiera al primo picnic, allora forse non siamo pronti per riavere certi spazi. Non è solo questione di mancanza di organizzazione: è anche, e soprattutto, una questione di mancanza di educazione.