MORTE TRA LE STELLE”
una raccolta di racconti noir dedicata al lato oscuro dei Segni dello Zodiaco
“BLANCHE”
di Mary Grace Ovedi
– Ho fatto bene oppure ho fatto male? – si stava già chiedendo Blanche, in preda ai dubbi.
Ma ormai era fatta e quell’interrogarsi per la centesima volta era inutile e tardivo.
Blanche odiava la violenza, e la volgarità soprattutto, in tutte le sue accezioni e con il suo gesto aveva semplicemente compiuto un atto di giustizia e reso un favore alla comunità in genere, riequilibrando l’armonia, la bellezza e la decenza secondo i suoi canoni. Quindi doveva sentirsi in pace con se stessa, almeno su questo punto.
Se avesse avuto la possibilità di valutare più a lungo e più profondamente il suo comportamento e le sue azioni quasi certamente si sarebbe trattenuta dall’ucciderlo, ma non sempre nella vita si può stare a pensarci su troppo a lungo prima di decidere ed agire.
La sua era stata una reazione repentina, assolutamente non premeditata e per questo decisa e definitiva. Non proprio da lei che, di solito, non avrebbe mai agito così avventatamente.
Ma era accaduto, ed ora la questione contingente e pratica era: “che fare?”.
Bisognava innanzitutto affrontare il problema con razionalità, con logica, analizzandolo da ogni angolo, da ogni punto di vista; soppesare attentamente tutte le possibili varianti con le loro sfumature e le loro conseguenze e, ovviamente, optare per il meglio.
Senza fretta, naturalmente, perché la fretta è una cattiva consigliera!
Avrebbe dovuto agire con garbo ed eleganza, che d’altra parte non le mancavano, ponderando con la sua solita classe, senza esagerare, con decenza e salvando le apparenze. E soprattutto con intelligenza e senza lasciare tracce.
La soluzione migliore sarebbe stata seppellirlo. Non sarebbero rimaste tracce, né indumenti di cui disfarsi, e l’identificazione sarebbe stata pressoché impossibile perché in breve tempo il corpo si sarebbe putrefatto e consumato sotto terra ed ogni altra cosa si sarebbe decomposta e liquefatta. L’identificazione sarebbe stata impossibile e qualsiasi collegamento con lei addirittura impensabile.
Era un’ottima idea, pensava, ma non doveva agire frettolosamente perché poteva esserci qualche dettaglio che al momento le sfuggiva. Era meglio rifletterci su un altro po’, magari la notte. Si sa che la notte porta consiglio!
Così Blanche, valutando attentamente tutti i pro di questa soluzione, fissava il soffitto e non riusciva a dormire. Qualcosa le ronzava nella testa, una vocina insistente e fastidiosa che le sussurrava: “il piano non è perfetto…”. C’erano troppi “contro” da non sottovalutare. Primo fra tutti la difficile attuazione del seppellimento.
È facile a dirsi, ma a metterlo in pratica…. ce ne vuole!
Avrebbe dovuto scavare una buca profonda, molto profonda, e lei ne aveva la forza? Ne aveva la determinazione, la volontà? Si sarebbe stancata da morire, chissà che dolore per le sue povere ossa, e la sua schiena, già indebolita, ne avrebbe potuto risentire in modo irreversibile. E chissà che fatica poi per il cuore! E se non avesse retto allo sforzo? Poteva morire lei stessa nella fossa che stava scavando!
E poi, dove scavare questa fossa? Non c’erano giardini nel suo condominio, né nei dintorni! Il parco era impensabile: troppa gente! E poi, chi l’avrebbe aiutata a portare il corpo fin là?
No, il seppellimento, con la relativa veloce e inidentificabile putrefazione, non andava bene.
Meno male che ci aveva riflettuto su, almeno ora che aveva scartato questa soluzione avrebbe potuto pensare a qualcos’altro di meno faticoso. Che sollievo, lei odiava la fatica!
Poteva dormire tranquilla, ci avrebbe pensato l’indomani. Con la luce del sole anche i suoi pensieri si sarebbero schiariti.
Ma a colazione, colta da vaga indolenza, stava già valutando l’idea di pensarci più tardi. Aveva voglia di fare qualcos’altro. Di vedere qualcuno, di distrarsi un po’, di fare un po’ di salotto. Tanto, che fretta c’era? E poi nel frattempo le sarebbe potuta venire qualche altra idea.
Era con le sue amiche al “Circolo del Tennis”, e si stava rilassando davanti ad una bella e calda tazza di tè con pasticcini, quando, come un subdolo mal di testa, riaffiorò il suo problema: doveva disfarsi del cadavere!
Lo avrebbe potuto gettare nel lago! Il lago era vicino. Lo avrebbe avvolto in un telo, ci avrebbe messo qualche pietra dentro per appesantirlo e lo avrebbe trasportato nel portabagagli della sua auto. Sarebbe scesa con la macchina fino a riva in un posto appartato e lo avrebbe semplicemente fatto scivolare in un punto profondo. Ci sarebbe andata di notte e nessuno l’avrebbe notata: dopo il tramonto il lago era poco o niente frequentato, troppa umidità, troppa nebbia.
Si sarebbe vestita di scuro e senza luna nessuno avrebbe visto niente. Un’ottima idea! Un’ottima soluzione!
Congratulandosi con se stessa per averla trovata così facilmente Blanche, rilassata, si tuffò di nuovo nella conversazione con le amiche e si godette appieno il suo tè con i pasticcini.
Mancavano ancora parecchie ore al calar della sera, così avrebbe potuto studiare al meglio ogni singolo dettaglio.
Però, man mano che prendeva in esame ogni singolo particolare, le falle si aprivano di qua e di là. Prima di tutto, come avrebbe potuto caricare il corpo nel portabagagli? Era pesante e se anche fosse riuscita a metterlo dentro, sarebbe poi riuscita a tirarlo fuori? Ci vuole molta forza e lei con i suoi dolori alla schiena non ce l’avrebbe fatta mai! E poi, sì, si sarebbe vestita di scuro, si sarebbe messa un passamontagna sul viso, ma le luci della sua macchina avrebbero potuto essere notate da qualcuno in quell’ora insolita e in quel luogo buio e isolato. E poi, quand’anche fosse riuscita in tutta l’impresa, il corpo, pur gettato in un punto profondo del lago, sarebbe stato sempre troppo vicino alla riva, sarebbe tornato a galla prima o poi, forse prima che poi e magari sarebbe stato ancora identificabile. E ancora, se pure tutto fosse andato bene, il pensiero di quel corpo nell’acqua, che si gonfiava e diventava mostruoso e che inquinava e impregnava l’acqua con la sua disgustosa liquefazione e putrefazione, non poteva sopportarlo. No, questo proprio non poteva sopportarlo! La natura stessa ne avrebbe risentito. L’armonia del luogo sarebbe stata rovinata, distrutta, e lei non avrebbe mai più potuto neanche mettere un piede in quell’acqua, pregna di quell’essere volgare, il cui viso gonfio e deformato non le avrebbe mai più permesso di vedere e godere della bellezza e dell’amenità di quel lago.
No, assolutamente no. Neanche questa soluzione andava bene. Meno male che ci aveva pensato ancora un poco, altrimenti sarebbe stato troppo tardi. Come avrebbe potuto ripescarlo dal lago se appariva già così difficile buttarcelo dentro?
Non doveva mettersi fretta. La soluzione sarebbe arrivata, semplice e geniale. Per ora avrebbe cenato e ci avrebbe dormito su. Un’altra notte avrebbe portato consiglio.
E così fu. La mattina dopo, per quanto apatica e svogliata fosse la sua mente, un’altra idea era già germogliata. Avrebbe fatto sembrare la morte un incidente. Niente di più semplice e di più geniale! Avrebbe travolto il corpo con la sua macchina. Lo avrebbe situato in un posto solitario e poco frequentato, magari alla fine di una curva pericolosa, e ci sarebbe passata sopra con la macchina. Quanti pirati della strada se la cavano, impuniti? Perché non anche lei?
Certo, le dispiaceva ammaccare e sporcare la sua macchina, ma si poteva sempre lavare e far riparare.
No, a pensarci bene anche questa idea forse era da scartare. Anzi, sicuramente e assolutamente!
Dopo aver trovato il corpo, perché ovviamente in mezzo alla strada prima o poi qualcuno lo avrebbe trovato, avrebbero sicuramente ricostruito la dinamica dell’incidente, avrebbero scoperto le “non tracce di frenata”, sarebbero risaliti al tipo di pneumatico in base ai segni del battistrada impressi sui vestiti, avrebbero trovato tracce di vernice, frammenti dei fendinebbia, magari, o chissà cos’altro, e sarebbero risaliti al tipo di auto, e di conseguenza a chi l’avesse di recente riparata, e infine al proprietario: in un piccolo centro come quello in cui viveva sarebbero facilmente risaliti fino a lei.
No, assolutamente no, anche questa soluzione andava scartata!
Meno male che lei non era un’avventata, un’istintiva, un’irrazionale, una di quelle persone senza la terra sotto i piedi che si fanno prendere dal panico e non capiscono più nulla e di conseguenza fanno gli errori più grossolani. Lei no, lei era calma, era dotata di sangue freddo e di razionalità. Lei avrebbe agito con intelligenza, con classe, con garbo, nel rispetto delle regole del bon ton e con equilibrio, risolvendo al meglio questo disguido capitato, suo malgrado, in un attimo di assoluta perdita di controllo.
E per agire con classe, con perfezione ed estetica e non fare errori, lo sanno tutti, bisogna prendersi i tempi giusti. Questa era la sua regola aurea, una filosofia di vita alla quale si atteneva da sempre e che, per dire la verità, non l’aveva mai portata da nessuna parte, perché nessuna delle cose in cui si era cimentata era stata portata a termine.
La sua indecisione, quel continuo tentennare, rimandare a domani, quel continuo ripensare per perfezionare fino all’inverosimile ogni particolare, o quel voler prevedere ogni possibile e infinitesimale conseguenza, la rendevano una perdente, una persona chiaramente debole, senza carattere, senza tempestività, senza ambizione, una persona inconcludente.
L’apparenza, l’estetica, l’armonia, l’equilibrio utopico, erano per lei talmente radicati, talmente indispensabili per il suo quieto vivere che tutto il resto passava in secondo piano. I suoi canoni, i suoi parametri, erano sopra ad ogni cosa.
Finalmente comunque aveva trovato la soluzione. Avrebbe salvato capra e cavoli!
Lo avrebbe fatto passare per un suicidio. Avrebbe sistemato il corpo in maniera estetica, perché lei non sopportava i toni forti e violenti, le scene cruente, e disposto il tutto in modo tale da sembrare realistico. Sangue non ne voleva vedere perché lo riteneva impressionante e antiestetico e di cattivo gusto. Se, per ipotesi, lei si fosse suicidata, non si sarebbe mai tagliata le vene, né si sarebbe sparata un colpo alla tempia o in bocca. Troppo sangue: avrebbe impressionato negativamente e indelebilmente chi era destinato a trovare il corpo; e poi perché sciupare la bellezza, perché non metterla in evidenza ed esaltarla?
No, ci voleva qualcosa di più sobrio, di meno spettacolare. Un suicidio tranquillo, composto, senza sofferenza e che non desse adito ad ombra di dubbio.
Per prima cosa doveva predisporre una lettera d’addio, di spiegazione, di motivazione. Non doveva assolutamente dimenticarsene, perché tutti i suicidi lasciano due righe; è il primo indizio che cercano gli inquirenti. Doveva pensarci bene perché in poche parole doveva esprimere la disperazione e la volontà irreversibile a sostegno di tale definitivo gesto.
Ma, ripensandoci bene, quello della lettera non era un problema da poco: poteva anche rappresentare uno scoglio tagliente e ritorcersi contro di lei. E se avesse sbagliato le parole, o la motivazione, o se avessero riconosciuto i caratteri della sua macchina da scrivere? Ovviamente non poteva scriverla a mano, però un suicida scrive sempre a mano le sue ultime volontà, le sue ultime parole, almeno così aveva sempre creduto!
Ma certo che un vero suicida le avrebbe scritte a mano, tutti se le sarebbero aspettate scritte a mano, quindi bisognava scartare a priori anche la lettera d’addio. Non sarebbe stata credibile se scritta a macchina o con ritagli di giornale come una lettera minatoria…. Ehi! Ecco un’altra idea!
Poteva scrivere una lettera minatoria, con le letterine ritagliate dal giornale. Tanto forte nei toni da aver spinto il poveretto al suicidio. Questa idea non era affatto male, ma doveva studiare un po’ più a fondo la cosa per dargli una parvenza di maggiore credibilità.
Nella lettera bisognava fare riferimento a qualche segreto o misfatto molto, molto grave, ma al momento a Blanche non veniva in mente nulla di tanto drammatico e irreparabile da doversi risolvere con un suicidio. Però, se ci pensava ancora un po’, se si concentrava solo su quello, era sicura che alla fine della giornata ne sarebbe venuta fuori.
Alla fine della giornata stava ancora girando in tondo sull’eventualità di una lettera minatoria, ma più il tempo passava più si smontava dentro di lei la credibilità che avrebbe dovuto suscitare in chi si sarebbe interessato del caso. Perché il caso, posto il suicidio in questi termini, sarebbe indubbiamente scoppiato: indagini, domande, controlli, verifiche e chissà cos’altro!
No, no. Neanche questa soluzione andava bene. Tutto sommato l’idea originale del seppellimento era meno complicata e implicava meno conseguenze, se non fosse stato per la fatica! Ma con tutta la buona volontà, specie ora che aveva individuato tutti i disagi che avrebbe comportato per lei, era proprio da scartare!
Ed erano da scartare, sempre nonostante tutta la buona volontà, anche le altre ipotesi. Ognuna aveva una pecca, un punto debole e lei non sapeva decidersi sul come superarli, sul come ovviarvi. Se solo fosse stata più decisa, meno titubante, avrebbe già risolto il tutto, ma ancora un po’, un’ultima chance, un’ultima notte per pensarci, e poi avrebbe preso la decisione definitiva, senza ripensamenti.
Lo avrebbe buttato dalla finestra!
Anche in quel modo poteva sembrare una morte accidentale: il poveretto si era sporto troppo dalla finestra ed era precipitato.
Ma certo, perché no? Succedono tutti i giorni di queste cose!
Sì, definitivo: aveva deciso. Sarebbe stata irremovibile, senza ripensamenti, senza titubanze, senza debolezze, senza indecisioni. Avrebbe buttato giù insieme al corpo anche una cassetta per gli attrezzi, per rendere più credibile l’incidente. L’uomo stava lavorando alla finestra, aveva perso l’equilibrio ed era precipitato. Perfetto, semplice e geniale.
Però l’avrebbe fatto l’indomani, stasera era troppo stanca.
Soddisfatta e sollevata per la ritrovata lucidità e determinazione, stava appunto per coricarsi quando vi fu una inaspettata irruzione della polizia in casa sua.
Sorpresa, si trovò di fronte a diversi agenti che, appena entrati in casa, si affrettavano chi a spalancare le finestre, chi a portarsi il fazzoletto davanti alla bocca, assaliti dall’odore nauseabondo della carne in putrefazione.
Al centro del salotto giaceva supino il corpo di un giovane uomo, morto sicuramente da diversi giorni a giudicare dall’odore insopportabile dovuto all’avanzato stato di decomposizione.
L’uomo era deceduto, chiaramente e senza ombra di dubbio, a seguito di una ferita d’arma bianca, per la precisione un grosso coltello da cucina, che aveva ancora conficcato nel torace all’altezza del cuore.
Blanche, sorpresa, ma non spaventata né tantomeno intimorita, con il suo solito modo di fare tranquillo, garbato, lucido e razionale, molto diplomaticamente ed educatamente si scusò per il caos e per il disordine e… per il corpo, naturalmente.
Era stata talmente indecisa sul modo di farlo sparire, confidò con noncurante civetteria al sergente, che il tempo era passato senza che se ne fosse resa conto. Era molto dispiaciuta per eventuali fastidi o disturbi arrecati ai vicini, ma ormai aveva deciso, rassicurò gli agenti, e l’indomani mattina, prestissimo, lo avrebbe buttato dalla finestra.
Era suo marito, ci tenne a specificare, e si era suicidato… incidentalmente!