L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Il 25 aprile non è una ricorrenza. È un patto. Un giuramento di sangue che l’Italia ha stretto con se stessa: mai più fascismo, mai più silenzio. Eppure, ad Ascoli Piceno nel 2025, una donna con un pezzo di stoffa ha fatto tremare lo Stato. Lorenza Roiati, panettiera, ha osato appendere alla sua vetrina uno striscione: «Buono come il pane, bello come l’antifascismo». Risultato? Due identificazioni della Polizia. Due. Come se avesse esposto una bomba, non un principio costituzionale.

Mentre i politici recitavano la litania della Resistenza, gli agenti chiedevano istruzioni su come gestire una scritta antifascista. Non un comizio sovversivo, non un simbolo illegale. Una frase che dovrebbe essere ovvia come il sole a mezzogiorno. E invece no: in una democrazia che si crede adulta, l’antifascismo è diventato materiale sensibile. Da controllare, da interrogare, da normalizzare.

La vicenda è un pugno nello stomaco: un operatore ha ritenuto opportuno chiedere indicazioni ai superiori. Per cosa? Perché una panettiera celebrava la Liberazione con le parole giuste. Questo non è zelo, è capitolazione. È l’ammissione che lo Stato, invece di difendere i valori della Resistenza, li tratta come reati potenziali. Quando la Costituzione diventa un tabù, siamo già morti.

«Prevenire situazioni che possano degenerare», dice il questore. Ma cosa c’è di più degenerativo di un Paese che criminalizza la propria identità? L’antifascismo non è un’opinione: è legge, è la nostra Repubblica. Eppure, ad Ascoli, è stato trattato come un graffiti su un muro di periferia.

La verità è che la sicurezza è diventata il mantra per giustificare ogni sopruso. Controllano una panetteria, ma lasciano crescere i focolai neofascisti nelle piazze. Multano una donna per uno striscione, ma non riescono a fermare i cori razzisti negli stadi. È la sindrome del vigile idiota: punisci chi rispetta le regole, perché i veri delinquenti sono troppo complicati da gestire.

Lorenza Roiati non ha sventolato un’ideologia. Ha messo in vetrina ciò che siamo: un Paese nato dalla lotta al fascismo. E proprio per questo è stata punita. Perché l’Italia del 2025 preferisce il conformismo alla coerenza. Preferisce celebrare i partigiani morti, ma schedare quelli vivi.

Non illudiamoci: non è un caso isolato. È il sintomo di un virus che corrode l’Europa. In Francia censurano i murales antifascisti, in Germania sorvegliano gli attivisti antirazzisti, in Italia multano le panetterie. La polizia non è il problema: è lo specchio di una classe dirigente che ha smesso di credere nella democrazia.

Quando un agente si sente in dovere di fermare un cittadino per una frase antifascista, significa che qualcuno gli ha insegnato a farlo. Qualcuno ha trasformato la Costituzione in un nemico pubblico.

La signora Roiati non ha bisogno di scuse. Ha bisogno di complici. Di cittadini che capiscano che la sua storia non è un aneddoto, ma un allarme rosso. Se oggi si chiedono i documenti per uno striscione, domani li chiederanno per un libro, un tweet, un pensiero.

L’antifascismo non è un retaggio: è un verbo. Si declina al presente. O lo pratichiamo nelle strade, nelle scuole, nelle panetterie, o accetteremo di vivere in un Paese che ha paura della propria ombra.

Quel giorno, ad Ascoli, non hanno controllato una donna. Hanno controllato la Costituzione. E l’hanno trovata sospetta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.