Terremoto e insulti.Unita’ solo a parole
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Cari amici lettori dell’Eco del Sannio, oggi vi propongo il romanzo “Non piangere” dell’autrice francese Lydie Salvayre, edito da Prehistorica, tradotto da Lorenza Di Lella e Francesca Scala.
La trama dalla quarta di copertina
Spagna 1936. La guerra civile sta per scoppiare. Montse ha quindici anni e, insieme al fratello José, decide di partire per la grande città, dove assiste agli albori della rivoluzione libertaria. Settantacinque anni dopo, davanti a un bicchiere di anisetta, racconta alla figlia gli eventi di quel periodo. Soffre di disturbi della memoria, ma conserva intatto il ricordo splendido di quell’estate del ’36, in cui visse l’unica avventura della sua vita. Alle parole intime e delicate di Montse si intrecciano quelle granitiche di Bernanos che, nei Grandi cimiteri sotto la luna, ebbe il coraggio di scagliarsi contro le atrocità dell’esercito nazionalista, denunciando anche l’infame connivenza tra Chiesa e militari durante la guerra spagnola.
Lydie Salvayre è una scrittrice poliedrica, ironica, affilata e al contempo estremamente sensibile verso tematiche sociali. L’autrice, in questo libro, si distingue per lo stile narrativo vivace, elegante, ornato di elementi lessicologici appartenenti alla lingua spagnola e francese che oltre a conferire la giusta coesione all’intera storia ne pongono in evidenza il viluppo delle esperienze personali.
Non piangere è un fiume in piena di sensazioni forti. Un romanzo di denuncia verso il sistema governativo spagnolo, verosimilmente, lo si potrebbe addirittura classificare come un vero e proprio poster antifascista.
La Salvayre con il suo racconto ci restituisce un quadro amaro e doloroso del periodo relativo alla Guerra civile in Spagna e file rouge dell’intera vicenda narrata è la labile memoria della madre. Il libro nasce proprio dai ricordi materni che inspiegabilmente – forse poi non tanto misteriosamente se pensiamo all’intensità del vissuto di quel preciso momento storico – si rivelano nitidi. Montse è il diminutivo di Montserrat Monclus Arjona, madre di Lydie, una quindicenne di origini catalane, incolta e povera che sperimenta la deflagrazione anarchica dell’estate del 1936.
Breve biografia dell’autrice
Classe 1948, Lydie Salvayre nasce a Autanville, Francia, da genitori spagnoli, esuli e scampati al regime dittatoriale di Francisco Franco, meglio noto con il termine di franchismo come si può leggere sui libri di storia.
Doppia laurea, in Lettere e Medicina, la Salvayre ha esercitato la professione dello psichiatra prima di dedicarsi completamente alla sua passione, la scrittura. Autrice apprezzata, ha ricevuto molti premi e riconoscimenti. Le sue opere sono tradotte in più di venti lingue ed edite, in Francia, da importanti case editrici quali, Le Seuil, Juillard e Verticales. Dal 2023, in Italia, a occuparsi della pubblicazione è Prehistorica Editore.
Diciamocelo chiaro e tondo: quando si parla di cibo, l’Italia gioca in un campionato tutto suo. Dalla carbonara all’ossobuco, i nostri piatti fanno tremare le tavole di New York e Tokyo, lasciando tutti a bocca aperta (e subito dopo, a bocca piena). Il segreto? Un mix imbattibile di tradizione, ingredienti di qualità e quella passione che rende ogni forchettata poesia pura.
Per noi italiani, il cibo non è solo nutrimento: è rito, arte, festa. Da Nord a Sud, si mangia come se fosse sempre l’ultima cena, e sì, c’è chi ancora si fa il segno della croce prima di assaggiare.
Ogni piatto racconta storie, coccola l’anima, tiene viva la memoria. Ma attenzione: guai a fare errori. Amatriciana con la panna? Squalifica immediata. Pizza con l’ananas? Esorcismo garantito.
E poi c’è quel nostro fiuto da detective della qualità. Siamo i Sherlock Holmes del supermercato, capaci di analizzare ogni etichetta e interrogare il fruttivendolo sulle origini delle melanzane. Perché per noi il cibo non è solo cibo: è una questione di principio.
Ma il vero ingrediente segreto non si trova in una dispensa. È la compagnia. Mangiare da soli, in Italia, è quasi un peccato. Ce lo dicono anche gli scienziati: condividere un pasto rende felici. Insomma, il miglior risotto allo zafferano non vale nulla se non hai qualcuno accanto a cui dire: “Eh sì, l’ho fatto io!”.
E il mondo lo sa bene. Dal 2014 al 2023, le esportazioni del nostro agroalimentare sono cresciute dell’87%, superando i 64 miliardi di euro. Altro che cibo: il Made in Italy è arte, confezionata sottovuoto e amata ovunque.
Le contraddizioni della cucina italiana
Certo, non siamo perfetti. L’Italia è un mix di ordine e caos, tradizione e innovazione. Ed è proprio questa danza tra opposti che rende la nostra cucina unica. Non cuciniamo solo per nutrirci, ma per stupire, emozionare, vivere.
E con il Natale alle porte, la cucina italiana si trasforma in un luna park di dolcezze. Panettoni, torroni, cantucci: l’indice glicemico scrive Cronache di un abuso natalizio. Ma come dicevano i latini, semel in anno licet insanire: una follia all’anno è concessa. Attenti però, perché a gennaio potrebbe arrivare la resa dei conti… e dei pantaloni troppo stretti!
Il lato nascosto del Made in Italy
Fin qui, tutto bello. Ma non possiamo ignorare che, mentre celebriamo il nostro cibo, ci sono italiani per cui anche una pasta al pomodoro è un lusso. Un italiano su otto vive sotto la soglia di povertà. E mentre esportiamo eccellenza, ci sono tavole vuote.
Eppoi, la vera grandezza della cucina italiana non è solo nei suoi piatti stellati, ma nella capacità di rendere straordinario ciò che è semplice: un pezzo di pane, un filo d’olio e un peperoncino possono essere un capolavoro, ma devono essere alla portata di chiunque perché la cucina italiana è un patrimonio di tutti.
Come garantire che lo sia davvero?
Non servono gesti eroici, ma iniziative concrete:
• Combattere lo spreco alimentare. Ogni anno buttiamo tonnellate di cibo. Le food bank e altre iniziative possono fare molto, ma serve la volontà di tutti.
• Educazione alimentare. Anche con pochi soldi si può mangiare sano, ma bisogna sapere come fare.
• Sostenere i piccoli produttori locali. Comprare a chilometro zero aiuta chi lotta contro le grandi multinazionali e fa bene al pianeta.
E a Natale, mentre ci godiamo il nostro torroncino, pensiamo a chi ha meno. Una donazione, un pasto condiviso, anche solo un pensiero possono fare la differenza.
Perché il vero miracolo della cucina italiana non è solo il suo sapore, ma la sua capacità di unire le persone.
Buone feste e buon appetito… per tutti!
Ph : Freepik senza royalty
Editoriale di Daniela Piesco direttore responsabile Una notte difficile per la popolazione napoletana . Nella zona dei campi flegrei si sono registrate oltre 150 scosse di terremoto, tra cui la…