di Gabriele Parenti
Una delle prima volte in cui ho intervistato Guccini è stato al termine di un concerto, a Firenze quando, in chiusura, prima della fatidica Locomotiva aveva cantato ‘ Un altro giorno è andato’
Un brano che pone molti interrogativi (Quanto tempo è ormai passato e passerà?)
per affermare :’E il tempo passa e fermalo se puoi ‘e sottolineare in modo icastico che :’Il tempo andato non ritornerà‘.
Così eravamo (ed. Giunti 2024), il nuovo libro del celebre cantautore e scrittore di successo ripropone tematiche in fondo analoghe, attraverso storie coinvolgenti, narrate con brio , con una dose di umorismo (si veda il racconto del paradossale “rifugio atomico”) e con un’ incisiva ironia che veicola sottotraccia una vena di malinconia (non di nostalgia) e ci fa ripercorrere gli stili di vita del secondo dopoguerra e dei successivi anni ’60.
Per chi lo ha vissuto, quel tempo ha un valore evocativo ma il ricordo offre anche nuove chiavi di lettura alla luce dei mutamenti intervenuti.
Ci sono anche momenti drammatici come la vicenda di un compagno di scuola delle medie che muore all’improvviso e – rileva l’autore – non vedrà nulla di tutto quanto è venuto dopo: la televisione, la città che cambia, la musica che farà venire voglia a tutti di ballare.
O l’episodio in cui ci parla di un terribile disastro accaduto appunto negli anni ’60, che viene visto da un da un peculiare angolo prospettico e attraverso il ricordo di un portacenere rosso, il giovane sottotenente Guccini riceve in dono da una ragazza veneta: da qui una storia solo immaginata, con gli occhi del “cosa poteva essere” .
Ricordo la prima intervista che mi rilasciò Francesco Guccini nel 1981. Nella mitica Via Paolo Fabbri 43. Riguardava il suo più recente album Metropolis che segnava un certo distacco da quelli precedenti; uno dei brani più famosi faceva riferimento a un cambio d’epoca sottolineato da Bisanzio “sospesa fra due mondi e fra due ere.”
In quella conversazione Guccini mi ricordò che la realtà non è mai monolitica, non ha una sola chiave di lettura, e mi fece notare che, non a caso, nelle sue canzoni a ogni affermazione segue sempre un ma, un oppure. Queste osservazioni che erano rivolte alla realtà di quegli anni, in questo libro le possiamo trovare declinate al passato come ciò che poteva essere e non è stato.
Torniamo al libro e ad altre storie che come un’istantanea fotografano quegli anni duri (specie per coloro che non erano stati nemmeno sfiorati dal “miracolo economico”). Ecco allora il giovane montanaro che si reca in un giornale di provincia in cerca di lavoro. Ha una fame nera, un’aspirazione tenace, ma un cinico capocronaca che lo scoraggia. Ha poi bisogno di un alloggio e si trova un vagare nella notte modenese.
O vicende di vario genere, come l’andare notturno, alla stazione, in cerca di una prostituta per sfidarsi in una gara che però è un cattivo scherzo…Poi, si narra dell’andare, in tutte le balere,in cerca di nostalgia E di un orchestrale. Un giornalista che tempesta di domande lui che, ora, fa altro. L’andare in gita, alla domenica, di un giovane sottotenente (sì proprio lui, l’autore del libro) in pausa dalle manovre.
Francesco Guccini anche come scrittore è “burattinaio”, anzi maestro di parole, con le quali sa rendere in modo superlativo un’atmosfera, che sia l’afa estiva della città o le stanze impregnate di fumo di una redazione. Scrive racconti che sono una sorta di Spoon River in prosa di una intera giovinezza. Come in altri suoi precedenti libri sono piccole storie sullo sfondo della grande Storia, importanti proprio perché intensamente vissute , come avviene per i nostri ricordi giovanili : ciascuna di esse illumina un volto, un’atmosfera, un oggetto.
Ci sono, infatti, quegli oggetti “come un accendino, una penna stilografica, un portachiavi con un mazzo di chiavi “che aprivano chissà quali porte”, cose che hanno accompagnato, per lunghi tratti, la nostra vita e poi, un bel giorno, “ci hanno abbandonato, se ne sono andati, chissà dove e per quale motivo”.
Ho detto prima che nel libro non trovo nostalgia ma solo una vena di malinconia per l’inesorabile incedere del tempo. Infatti, la malinconia è un’emozione che attiene a un senso di perdita con la consapevolezza della fugacità della vita e si differenzia dalla nostalgia intesa come rimpianto di un passato che viene idealizzato. E’ la stessa malinconia che trovo in alcune famose canzoni come, ad esempio Farewell, Eskimo, Radici e la già citata, Autogrill, splendida, con quell’atmosfera onirica che ci introduce in una sorta di dimensione parallela, di situazioni fantasticate ma non realizzate.
*Info Gabriele Parenti
Giornalista professionista e scrittore, ha svolto per numerosi anni, all’interno della RAI, attività di progettazione e conduzione di programmi radiotelevisivi per le reti nazionali e per la Sede Rai Toscana.