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Cultura e società

La censura non fermerà la verità: il caso No Other Land e la battaglia globale per le voci libere
La censura non fermerà la verità: il caso No Other Land e la battaglia globale per le voci libere

L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco

Il cinema è sempre stato un’arma potente, capace di raccontare storie scomode, dare voce agli oppressi e mettere a nudo le ingiustizie. La vittoria del documentario No Other Land agli Oscar 2025 lo dimostra ancora una volta. Il film, diretto da un collettivo palestinese-israeliano, ha scosso l’opinione pubblica globale raccontando la demolizione forzata del villaggio di Masafer Yatta da parte dell’esercito israeliano. Ma se il mondo del cinema ha riconosciuto il valore di questa testimonianza, il governo israeliano non l’ha presa bene.

Miki Zohar, ministro della Cultura di Israele, ha attaccato duramente il film, bollando la sua vittoria come un atto di sabotaggio contro lo Stato. Non solo: ha rilanciato la necessità di una riforma per impedire che fondi pubblici vadano a opere che, a suo dire, danneggiano l’immagine del Paese. Parole che suonano come una minaccia diretta alla libertà d’espressione e come un chiaro avvertimento agli artisti che osano raccontare la realtà fuori dalla narrazione ufficiale.

Quando la verità diventa un nemico

L’attacco a No Other Land non è solo una questione di politica culturale israeliana. È il riflesso di un fenomeno sempre più diffuso: il tentativo dei governi di soffocare le voci critiche e di controllare il racconto della realtà.

In troppi Paesi la libertà di espressione è sotto assedio. In Russia, la repressione della stampa indipendente è diventata sistematica: chiunque osi criticare il governo di Putin rischia il carcere o, peggio, la vita. In Cina, il Partito Comunista mantiene un controllo assoluto sulla narrazione, oscurando qualsiasi voce dissidente. In Iran, giornalisti e artisti vengono incarcerati per il solo fatto di raccontare ciò che accade nelle strade.

E l’Occidente? Non è immune. Negli Stati Uniti e in Europa, i tentativi di censura si nascondono dietro le guerre culturali e le pressioni ideologiche. Negli Stati Uniti, il sistema scolastico è diventato un campo di battaglia in cui libri vengono banditi perché ritenuti scomodi da una parte o dall’altra dello spettro politico. Nell’Unione Europea, il giornalismo investigativo è sempre più minacciato da pressioni economiche e politiche, mentre i governi cercano di limitare il dissenso con leggi sulla “disinformazione” che rischiano di diventare strumenti di censura selettiva.

L’arte come atto di resistenza

Il caso di No Other Land dimostra che il cinema può ancora scuotere le coscienze, ma dimostra anche quanto sia fragile la libertà di chi racconta certe storie. I governi sanno bene che controllare la narrazione significa controllare la percezione del mondo. Per questo, cercano di silenziare chi racconta la realtà senza filtri.

Ma la storia ha dimostrato che la verità trova sempre una strada. L’arte non si fa imbavagliare, le voci libere non si fermano. I registi di No Other Land lo sanno bene: hanno realizzato il film perché credevano nella forza di una narrazione congiunta tra palestinesi e israeliani, perché sapevano che certe storie non possono rimanere invisibili.

Chi ha paura della verità?

La domanda che dovremmo farci non è perché un documentario come No Other Land abbia vinto un Oscar, ma perché qualcuno si senta minacciato da un film che mostra la realtà. Se la verità è un problema, allora il vero problema non è chi la racconta, ma chi vuole insabbiarla.

Il tentativo di Miki Zohar di limitare il finanziamento ai film “scomodi” è solo l’ennesimo esempio di un potere che ha paura della trasparenza. Ma ogni volta che un governo cerca di soffocare una voce libera, ne emergono altre dieci.

Ecco perché film come No Other Land devono continuare a essere realizzati, premiati, visti. Perché più qualcuno cerca di spegnere la verità, più forte questa deve risuonare.

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Ambiente

“Sleep Divorce”: Segnale di Crisi o Evoluzione della Coppia?
“Sleep Divorce”: Segnale di Crisi o Evoluzione della Coppia?

Il concetto di “sleep divorce”, ovvero la scelta consapevole di dormire in letti o stanze separate all’interno di una coppia, sta guadagnando sempre più attenzione. Ma questa pratica rappresenta un segnale di una possibile rottura imminente o può essere considerata un atto di civiltà volto a migliorare la qualità della relazione?

Molte coppie decidono di adottare il “sleep divorce” per diverse ragioni. Uno dei motivi principali è legato ai disturbi del sonno, come il russare o i movimenti notturni, che possono compromettere il riposo di uno dei partner. Anche orari di lavoro incompatibili o preferenze personali, come la temperatura della stanza o l’uso di dispositivi elettronici, possono spingere le persone a dormire separatamente. Secondo un sondaggio del 2024 dell’American Academy of Sleep Medicine, il 29% degli americani ha scelto di dormire in un altro letto nella stessa camera o in un’altra stanza per adattarsi al partner.

Optare per letti separati può portare diversi benefici. Il primo è senza dubbio il miglioramento della qualità del sonno, poiché ridurre le interruzioni notturne consente a entrambi i partner di riposare meglio e affrontare la giornata con maggiore energia. Inoltre, un sonno adeguato contribuisce a ridurre i conflitti quotidiani, evitando tensioni che spesso derivano dalla stanchezza accumulata. Dal punto di vista dell’intimità, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, dormire separati non comporta necessariamente un raffreddamento del rapporto. Anzi, potrebbe rendere i momenti trascorsi insieme ancora più speciali e desiderati. La psicoterapeuta Serena Carrai sottolinea infatti che l’intimità non viene minata da questa scelta, mentre lo spazio fisico personale risulta fondamentale per il benessere individuale, offrendo la possibilità di ricaricarsi e mantenere un contatto più profondo con se stessi.

Naturalmente, il “sleep divorce” può avere anche degli svantaggi. Uno degli aspetti più discussi è il rischio di una riduzione della vicinanza fisica, che per alcune coppie rappresenta un elemento fondamentale per la stabilità emotiva. Inoltre, dal punto di vista sociale, questa pratica viene spesso percepita come un segnale di crisi, anche se molte coppie la adottano semplicemente per migliorare il loro benessere. Va considerato anche l’aspetto logistico: non tutte le abitazioni dispongono di stanze extra per rendere questa soluzione facilmente praticabile.

La decisione di dormire separati non dovrebbe essere vista come una premessa di una rottura, ma piuttosto come una scelta consapevole per garantire il benessere individuale e della coppia. Secondo un articolo di Vogue, il 43% delle coppie sposate millennial dorme separatamente almeno occasionalmente, segno che sempre più persone riconoscono l’importanza di adattare le proprie abitudini per preservare l’armonia del rapporto. Il “sleep divorce” può quindi essere considerato un atto di civiltà, un modo per adattarsi alle esigenze della vita moderna senza compromettere la qualità della relazione. Come per ogni aspetto della vita di coppia, la chiave è la comunicazione: solo attraverso un dialogo aperto e una comprensione reciproca è possibile trovare il giusto equilibrio tra il bisogno di indipendenza e il desiderio di condivisione.

 

pH iStock senza royalty

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