Attualità e cronaca

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Governo: Renzi, ‘Meloni stia dalla parte dei volenterosi e dell’Europa’
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Pnrr: Patuanelli, ‘lo hanno ufficialmente ucciso, non riusciranno a spendere fondi’
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Politica

**Difesa: Mattarella, ‘Aeronautica pilastro per libertà, pace e stabilità’**
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Ucraina: Borghi (Iv), ‘Meloni sospesa tra Trump e Ue’
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Trasporti, vice Capo di Gabinetto Pucciariello: “Ministero ha investito da subito su Ansfisa”
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Via Piermarini, il sindaco Mastella: “In Commissione Urbanistica decodificata la vicenda: responsabilità dal passato, noi stiamo sbrogliando la matassa”
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Cultura e società

Più uno. Politica dell’uguaglianza di Ernesto Maria Ruffini
Più uno. Politica dell’uguaglianza di Ernesto Maria Ruffini

La recensione del Direttore Daniela Piesco 

Oggi mentre la politica insegue il mantra di Arthur Bloch secondo cui “se non li puoi convincere, confondili” e sembra svanire nell’indifferenza o implodere nei toni esasperati del populismo, Più uno di Ernesto Maria Ruffini è un piccolo, luminoso manifesto di rinascita civile. Non è solo un libro: è un invito gentile ma deciso a rimettere in circolo la forza delle parole comuni, dei gesti condivisi, dell’impegno quotidiano. Con un tono che unisce la pacatezza dell’intellettuale e la passione dell’uomo delle istituzioni, Ruffini ci ricorda che la democrazia è lenta per scelta, complessa per natura, e straordinariamente umana nella sua capacità di accogliere le differenze.

Il cuore pulsante del libro è la convinzione che la politica – quella vera, quella che migliora la vita delle persone – non sia appannaggio esclusivo di élite o partiti, ma debba ritrovare nella prima persona plurale la sua grammatica fondamentale: “più uno”, ogni giorno, significa non delegare tutto, ma sentirsi parte attiva di un progetto comune.

Ma c’è di più: Più uno è anche un richiamo forte a esercitare il governo, non il potere, a riscoprire il senso della politica come servizio, come costruzione quotidiana e non come dominio. Contro l’agonia della politica ridotta a spettacolo o a slogan, Ruffini propone il ritorno all’agone politico: quello spazio vitale di confronto, di differenze che si sfidano nel rispetto delle regole comuni, dove il conflitto diventa linfa della democrazia e non veleno per la convivenza.

Attraverso una narrazione che intreccia esperienze personali, riferimenti storici e riflessioni civiche, l’autore ci conduce in un percorso che somiglia a una riscoperta: quella della res publica come bene condiviso, come luogo da abitare, non da sfruttare. E lo fa con uno stile asciutto, diretto, mai retorico, che accarezza il lettore senza mai alzare la voce.

In un’epoca dove il “noi” è spesso sacrificato sull’altare dell’“io”, Più uno è una boccata d’aria fresca, un libro necessario. Non perché dia risposte facili, ma perché ci pone davanti a una domanda fondamentale: vogliamo davvero essere cittadini o preferiamo restare spettatori?

Ernesto Maria Ruffini ci offre una risposta coraggiosa e limpida: la politica è ancora il nostro spazio, se decidiamo di abitarlo. E il primo passo, piccolo ma decisivo, è proprio quel più uno. Da lì può cominciare un cambiamento autentico. Da lì può rinascere la fiducia.E soprattutto una nuova visione politica.

Antidoto
Antidoto
“Tu mi sognavi, io non dormivo” di Antonio Nobili
“Tu mi sognavi, io non dormivo” di Antonio Nobili
“Senza scorciatoie. Una storia per dire no alla mafia” di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso
“Senza scorciatoie. Una storia per dire no alla mafia” di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Ambiente

Il pianeta brucia, ma l’informazione si raffredda: l’ecocidio silenzioso e la complicità mediatica
Il pianeta brucia, ma l’informazione si raffredda: l’ecocidio silenzioso e la complicità mediatica

 

La notizia c’era, era perfino gigantesca: la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha toccato nel 2024 il livello più alto degli ultimi 800mila anni, e la temperatura globale ha superato per la prima volta la soglia critica di +1,5°C. Una pietra tombale sulle illusioni di contenimento della crisi climatica. Eppure, sui giornali italiani, silenzio. Nei talk show, nemmeno un accenno. La notizia è annegata nel solito rumore bianco: cronaca nera, chiacchiere elettorali, fuffa metereologica sulle “città col clima più gradevole”.

Cos’è successo? Nulla. O meglio: la normalizzazione del disastro ha completato il suo corso. Il collasso ambientale è diventato come un vecchio allarme antincendio lasciato a suonare per ore – alla fine lo si ignora, magari si smonta pure la batteria. La tragedia del secolo è stata declassata a sottofondo noioso. Il problema non è solo l’emergenza climatica: è che non fa più notizia.

Fino a pochi anni fa, i Fridays for Future riempivano le piazze, i TG aprivano con Greta e i ghiacciai in ritirata. Ora, i giovani sono tornati al loro posto – precari, disillusi, schiacciati tra lavoretti e guerre da guardare su TikTok – e i governi hanno voltato pagina. Anzi, l’hanno strappata.

Chi guida oggi il dibattito pubblico è l’industria della paura: difesa, riarmo, minaccia nucleare, sicurezza, tutte parole che vendono più copie di “ecosistema”, “biodiversità” o “carbon neutrality”. Roberto Cingolani è il volto perfetto di questa mutazione genetica: da ministro della Transizione Ecologica ad amministratore delegato di Leonardo, colosso bellico europeo. Una traiettoria esemplare: dalle pale eoliche ai missili cruise, in nome del “realismo”.

Del resto, come disse lui stesso, “la difesa dell’ambiente è un lusso da tempi di pace.” Peccato che senza ambiente, non esistano né tempi di pace né tempi di guerra. Esistono solo tempi finiti.

Intanto, la natura non aspetta le rassegne stampa. Brucia, si scioglie, si desertifica. Lo fa in silenzio, senza breaking news. Ogni alluvione è una “tragedia imprevedibile”, ogni siccità è “un’anomalia climatica”. I giornali parlano di resilienza, non di responsabilità. Si preferisce raccontare i morti come fatalità, mai come conseguenza.

Eppure, le conseguenze sono chiare: stiamo perdendo il pianeta. Non in un futuro remoto, ma adesso. E mentre perdiamo terreno (letteralmente), perdiamo anche la capacità di indignarci, di reagire, di raccontare.

La stampa dovrebbe essere il cane da guardia del potere. Invece sembra un gatto addomesticato, che ronfa sul divano del consenso, mentre fuori la casa va in fiamme.

Alla fine, ha forse ragione il filosofo Timothy Morton: la mente umana non è progettata per percepire un disastro tanto vasto. E se la mente si rifiuta, l’informazione la segue. O la precede. Meglio ignorare, anestetizzare, farci cullare dall’idea che in fondo qualcuno farà qualcosa. Ma quel “qualcuno” non c’è più. E forse non c’è mai stato.

Nel frattempo, l’aria si fa irrespirabile, i mari acidi, i raccolti incerti. Ma tranquilli: domani Ilmeteo.it ci dirà dove si vive meglio. Finché ci sarà ancora qualcosa in cui vivere.

Ph creata con IA

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